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Gstv24 viaggi: ancora Arezzo, tra bellezza, storia e gastronomia

Michele Caretti
9 Min Read

Arezzo la conosco bene, vale ogni chilometro speso per raggiungerla, la conosco da sempre, ogni matassa medioevale, impiegata per la realizzazione del suo tessuto urbano, legittima le curve affrontate per farle visita. Ciascuna singola pietra rinascimentale, plasmata per concretare il genio vasariano, giustifica ogni passo percorso per contemplare la bellezza di una delle città più belle d’Italia, un centro che amo com’è impossibile amare.

Piazza Grande, così, tanto per voler iniziare grandiosamente la conoscenza del capoluogo del Valdarno, proprio così, con un membro dell’oligarchia del bello italiano, affascinante salotto cittadino, di un’eleganza rinascimentale senza tempo, come un orologio privo di lancette, eterna. Viverla è sfogliare un’antologia di architettura, dal Medioevo, dall’età dei Comuni, quando, nel XIII secolo fu realizzata, quale opera pubblica rappresentativa del nuovo governo comunale, all’Ottocento. Un manuale di architettura, da leggere, comodamente seduti al tavolo di uno degli storici caffè ubicati nello spazio del loggiato, dai suoi esordi nel basso Medioevo, passando per i fortunati interventi cinquecenteschi, che hanno donato al luogo l’immagine attuale, fino alle dorate donazioni del genio barocco. Piazza resa ancor più celebre dal suo illustre cittadino, Giorgio Vasari, l’architetto aretino, infatti, ha progettato il lato settentrionale, le meravigliose logge vasariane. Scendendo da queste, lungo il lato occidentale, il seicentesco palazzo del tribunale e l’elegante palazzo della Fraternità dei laici, tra gotico e rinascimentale i suoi piani, per chiudere con l’abside della pieve romanica di Santa Maria. Una bellezza a trecentosessanta gradi, distesa su di un piano inclinato, una quinta irregolare, tuttora teatro dello spettacolare evento della “Giostra del Saracino”, antica manifestazione risalente al ‘200, che ogni anno rinnova la sua magia la prima domenica di settembre. Una bellezza trecentosessantacinque giorni l’anno, con i cieli infuocati di luglio, tirolese con i curati mercatini natalizi, con la pioggia d’inverno, ad ammirarla al riparo sotto le logge, la pavimentazione illumina gli edifici, l’acqua scorre formando rigagnoli, pozze luminose a supplire i raggi solari, una bellezza imperturbabile.

Lasciando alle nostre spalle piazza Grande, l’altra faccia della medaglia sarà corso Italia e la facciata della pieve di Santa Maria. Una pregevole moneta d’oro raffigurante il centro storico aretino, una delle tante prodotte dai maestri orafi che, qua in Valdarno, hanno trovato la loro terra d’elezione, da sempre, almeno dall’epoca di mezzo. Eretta nella prima metà del XII secolo, la pieve di Santa Maria, rappresenta uno dei maggiori esempi di romanico in Toscana, testimonia l’architettura medioevale aretina. Rifacimenti gotici del ‘300 e le trasformazioni operate da Vasari, attorno al 1560, hanno determinato i confini adesso godibili. Le cinque arcate cieche del basamento e i tre ordini di loggiati caratterizzano la facciata in stile romanico. Un vero gioiello il portale centrale, decorato da bassorilievi con la Vergine orante e la rappresentazione dei mesi nell’archivolto, un particolare davvero interessante, dal punto di vista artistico e storico, quale testimonianza della vita e delle attività umane che scandivano l’anno nell’età di mezzo. L’interno, a tre navate, con presbiterio rialzato sulla sottostante cripta, colpisce subito, appena varcato uno dei tre portali d’ingresso, per il grande polittico posto sull’altare maggiore, una Madonna con il bambino e santi di Pietro Lorenzetti del 1324.

Proseguendo su via Pileati, parte alta del corso cittadino, ci troveremo dinanzi a palazzo Pretorio, uno degli edifici medioevali più notevoli di Arezzo, reso celebre, facilmente riconoscibile e così radicato all’età comunale, per gli stemmi che adornano la sua facciata. Il complesso, frutto dell’accorpamento di diversi edifici, rappresenta una perfetta sintesi tra architettura tardo medioevale e rinascimentale, ospitò i governanti della città per il periodo dell’esercizio del potere, mantenendo per sempre la testimonianza del passaggio, con l’apposizione del corredo murario in facciata. Ammirarlo è leggere, significa sfogliare le pagine del libro di storia, della storia comunale aretina. L’edificio pubblico, che annovera tra gli illustri ospiti, i guelfi Albergotti e Sassoli, oggi, è sede della biblioteca, non prima, però, di aver funto da carcere e in seguito da pinacoteca.

Arezzo è custode di una leggenda, un episodio artistico tra i più efficaci della storia dell’arte italiana, “La leggenda della vera croce”. Passeggiando per via Cavour, giunti in piazza San Francesco, trovandoci dinanzi alla facciata incompiuta dell’omonima chiesa, tra pietra e mattoni, occorre prendere confidenza con un momento nevralgico del Rinascimento italiano. Proprio qua, nell’abside della gotica chiesa di San Francesco, Piero della Francesca, su commissione della famiglia Bacci, scrisse una delle pagine più efficaci del Quattrocento italiano. Siamo a metà secolo e l’artista toscano realizza così, uno straordinario ciclo di affreschi sulle pareti del coro. Al culmine dell’unica navata dell’edificio religioso, il pittore di Sansepolcro, servendosi delle più raffinate tecniche su muro, dà vita alla “Legenda aurea” di Jacopo da Varagine, compendio di vite dei santi risalente al 1265, narrando, su tre livelli, la storia, dalla morte di Adamo all’esaltazione e all’ingresso della vera croce a Gerusalemme. Agevole l’ingresso in questo luogo di culto, meno l’uscita, anzi, credo non se ne esca mai del tutto da un tutto così perfetto e armonico.

Per garantire la continuità con quest’universo armonioso, c’è solo una possibilità, un solo indirizzo, contiguo alla chiesa, per conservare la stessa bellezza nei nostri occhi, piazza San Francesco numero 7. Occorre disegnare un bel cerchietto rosso attorno a questo punto sulla mappa cittadina. Nella caccia al tesoro della bellezza della terra di Piero, troveremo uno scrigno dorato, al suo interno, depositata la sapienza della cultura gastronomica, le chiavi, le chiavi d’oro per aprirlo le avremo già in tasca, basterà avere scelto questo locale. Seduti al tavolo di questo gioiello di architettura urbana, godremo dell’arte della cucina, dei piatti che da sempre costituiscono la storia culinaria di questa parte di Toscana, che dalla scatola dorata si dispiegheranno, uno dopo l’altro. Piatti, che in questo ristorante hanno trovano mani e menti illuminate e preparate per prepararli, in una chiave d’oro moderna. Non mancano piacevoli soluzioni di mare. Curata la carta dei vini, potremo spaziare, nella scelta, dalle cantine locali fino alle migliori etichette nazionali. Per abbinare un profumato piatto di pesce, perché, ad esempio, non abbandonarsi alla profumata soluzione “Marisa Cuomo, Furore Costa d’Amalfi, a denominazione d’origine controllata. “Le chiavi d’oro” sono l’isola che c’è, ed è ad Arezzo.  

Arezzo arde, al centro dei venti del Casentino, della Valtiberina, della Val d’Orcia e della Val di Chiana, alimentata dalla loro azione, arde, arde di bellezza, ed è un piacere riscaldarsi al tepore caldo delle opere di Vasari e di Piero della Francesca. 

chiesa di San Francesco
“La leggenda della vera croce” di Piero della Francesca

Palazzo Pretorio
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